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Channel: Laurent Gbagbo – Pagina 270 – eurasia-rivista.org
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Recenti sviluppi del maoismo nell’area himalayana

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La resurrezione del maoismo in Asia meridionale è considerata una reazione dei contadini meno abbienti al processo di globalizzazione in atto in questi Paesi, che ha spesso trasformato le aree urbane senza apportare alcuna miglioria alle condizioni di vita nelle zone rurali. In taluni casi, vieppiù, la crescita delle industrie manifatturiere è avvenuta a discapito dei ceti agricoli, che hanno dovuto subire espropri forzosi e delocalizzazioni per lasciare spazio ai nuovi impianti industriali. Nei casi più eclatanti, quello nepalese e quello indiano, i partiti politici di ispirazione maoista sono arrivati persino ad insidiare il potere istituzionale per mezzo della tattica della guerriglia.

Nepal

I principali partiti politici nepalesi sono riusciti a scongiurare una crisi che rischiava di gettare il Paese in un limbo legislativo. Secondo quanto riportato dai media locali, le forze politiche hanno annunciato la proroga per un altro anno dell’Assemblea costituente – la quale avrebbe dovuto essere sciolta il 28 maggio per scadenza naturale – per consentire il varo di una nuova Costituzione, decretando la sostituzione del governo di Madhav Kumar Nepal con un esecutivo di unità nazionale. Quest’ultima condizione è stata dettata dall’opposizione maoista che aveva legato il suo supporto ad estendere il mandato dell’Assemblea alle dimissioni del premier Nepal. Il primo ministro lascerà l’incarico nei prossimi giorni, in base ad un accordo i cui effetti prevedono l’entrata dei maoisti nel governo: sarà trovata una sistemazione agli ex guerriglieri, sarà smantellata una struttura paramilitare giovanile e saranno restituite le proprietà confiscate dagli ex ribelli.

Il Partito maoista nepalese, nato nel 1994 da una scissione del Partito comunista nepalese per iniziativa del “Presidente Prachanda” e ritenuto il movimento maoista più forte al mondo, aveva intrapreso una decennale insurrezione contro l’esecutivo di Kathmandu, sfociata in aperta guerra civile (conosciuta come guerra dl popolo nepalese).

L’offensiva era volta ad abbattere una struttura sociale e istituzionale incriminata di essere feudale, abolire la servitù e la proprietà privata dei mezzi di produzione. Dopo 13mila morti su entrambi i fronti e le rivolte di piazza del 2006, re Gyanendra decise di rinunciare al potere esecutivo e accordarsi con la guerriglia, che collocò alcuni esponenti nel governo ad interim, il quale spogliò il sovrano di ogni potere e impiegò più di un anno per indire le elezioni dell’Assemblea costituente. Queste ultime si tennero nel 2008 e sancirono la sorprendente vittoria dei maoisti, che non ottennero tuttavia i seggi necessari a governare in autonomia. Il resto dei partiti si coalizzò, temendo una deriva autoritaria maoista. L’Assemblea costituente abolì la monarchia, ponendo fine a una tradizione di oltre duecento anni, dichiarò il paese una Repubblica federale democratica e stabilì le commissioni delegate alla stesura della Costituzione.

L’acuirsi delle tensioni, in primis a causa della mancata integrazione delle milizie maoiste nell’esercito nazionale, i crimini impuniti svilirono sempre più la giustizia, e le esigenze delle fasce di popolazione più lacerate dal conflitto decennale non trovarono adeguate risposte.

Nel 2009 lo stallo divenne totale. Dopo l’ennesima disputa sul collocamento delle proprie truppe (i vertici militari si rifiutarono di integrare nell’esercito quasi 20mila miliziani maoisti), il premier maoista Prachanda rassegnò le dimissioni e il suo partito boicottò i lavori del parlamento da agosto a fine dicembre, paralizzando il paese. I report dell’anno raccontano di una nazione a pezzi: 100 giorni di scioperi, 25 uomini d’affari uccisi e 65 rapiti da bande armate, una grave crisi elettrica a ledere la boccheggiante economia, quasi quattro milioni di persone a rischio denutrizione e più di 20 mila famiglie colpite dall’alluvione e rimaste senza casa.

Nel maggio 2010, a seguito di una manifestazione a cui hanno preso parte 35mila nepalesi, gli uomini di Prachanda hanno terminato lo sciopero generale che ha paralizzato le imprese e la vita quotidiana nel Paese himalayano, avendo valutato la gravità della protesta promossa dalle aziende e da altri gruppi della società civile, indubbiamente la maggiore dimostrazione anti-maoista da quando gli ex ribelli lanciarono lo sciopero. Il governo, composto da una coalizione di venti partiti, aveva ribadito di non volersi piegare alle richieste degli avversari.

I maoisti, che detengono il 40% dei seggi in Parlamento, hanno altresì annunciato l’intenzione di voler procedere con ulteriori ribellioni anti-governative finché l’esecutivo non si sarà dimesso; costoro, a detta di esperti, starebbero rafforzando l’attacco come tattica di pressione per spingere alla creazione di un governo di unità nazionale sotto la propria amministrazione.

Prachanda ritiene l’attuale primo ministro in carica una marionetta nelle mani dell’India, adducendo la teoria secondo la quale il suo partito sarebbe stato preso di mira da New Delhi, tesi peraltro mai ufficialmente smentita dall’ambasciatore indiano Rakesh Sood, anzi suggellata dalle dichiarazioni del ministro degli Esteri indiano (“l’India sostiene gli attuali sforzi del popolo del Nepal per il consolidamento della democrazia multipartitica”). Gli analisti asseriscono invece che l’India non abbia lo stesso interesse di Cina e Onu nella stabilizzazione del Nepal.

Pechino, d’altro canto, ha lasciato trasparire la sua possibile irritazione qualora il Nepal si trasformasse nuovamente in una polveriera, augurandosi che “le forze politiche nepalesi facciano prevalere gli interessi nazionali, tentando il dialogo, il coordinamento e la ricerca del consenso politico”. L’immediata reazione del dragone dagli occhi a mandorla denota l’apprensione della Cina per i proprio interessi nazionali in Nepal, tenendo presente che Kathmandu ha dato rifugio a diverse migliaia di profughi tibetani fuggiti dalla loro patria verso la fine degli anni ’50.

Dalla fine della monarchia i cinesi sembrano proiettati verso la ricerca di un alleato affidabile in Nepal e gli ex ribelli maoisti mostravano di essere disposti ad assumere il siffatto ruolo: a tale stregua il leader Prachanda si era recato (2009) nelle Repubblica Popolare fondata da Mao per attingere direttamente alle fonti dell’ideologia marxista nella sua variante maoista. Nonostante buona parte dei dirigenti del partito nepalese abbia una impostazione dogmatica, conformemente alla quale il comunismo in Cina avrebbe subito delle “deviazioni” rispetto al percorso originale, Prachanda ha fatto proprio il motto “Mao ha reso orgogliosa la Cina, Deng l’ha resa prospera”, auspicando per il Nepal un sistema simile al modello istituzionale cinese precedente l’avvento di Deng Xiaoping.

India

Alla luce del recente attentato nel West-Bengal riemerge tra gli addetti ai lavori e l’intellighenzia del Paese la controversa questione dei Naxaliti, in più occasioni definiti dal premier Singh come “la peggior minaccia alla sicurezza interna”, con alle spalle almeno 6000 morti nell’ultimo ventennio.

I movimenti maoisti indiani germogliano all’indomani del processo di decolonizzazione dall’ex madrepatria britannica, quando gli Stati del nord-est declinarono l’invito di Nehru ad entrare nell’Unione Indiana. Finanziati e addestrati prima dal Pakistan orientale – l’attuale Bangladesh – e poi dalla Cina, col tempo hanno cambiato di segno per diventare ufficialmente i difensori dei diritti dei poveri e delle caste basse nelle zone rurali.

I gruppi furono repressi da Indira Gandhi ma ripresero vigore ai principi degli anni ’80 nella cittadina di Naxalbari (nel Darjeeling) – da cui il gruppo odierno assume il nome – ove resiste ancora un busto di Charu Mazumdar , padre ideologico dei moderni guerriglieri maoisti e teorico dell’ “annientamento selettivo”. I Naxaliti si propongono l’instaurazione di un governo del popolo, contrastando nelle regioni ad orientamento rurale gli eserciti dei latifondisti e battendosi contro i privilegi di casta.

Per molto tempo, i guerriglieri Naxaliti sono stati considerati poco più che banditi: è vero per alcuni dei circa 40 gruppi armati indiani, viceversa altri raggruppamenti vantano solide basi ideologiche, un braccio politico e un controllo capillare del territorio, tanto da aver creato dei veri e propri governi-ombra. Nel 2004 Il Maoist Communist Centre of India (Mcc) e il Communist Party of India (Marxist-Leninist) People’s War (noto anche come People’s Guerriglia Group o Pwg) si sono uniti dando vita al Communist Party of India-Maoist (Cpi-M), superando divisioni dottrinarie e diatribe interne.

I Naxaliti sono attivi soprattutto negli Stati del Bihar, dell’Andra Pradesh e del Chhattisgarh, in un’area soprannominata “Corridoio rosso” dalla stampa e “Compact Revolutionary Zone” dai maoisti stessi. Quivi controllano diverse zone di foresta e hanno tenuto nel 2007 il loro ultimo congresso. I maoisti indiani si rifanno all’insegnamento del loro fondatore Charu Mazumdar, morto in carcere nel 1972, la cui eredità è stata raccolta da Muppala Lakshman Rao, detto Ganapathi. Dagli iniziali gruppuscoli eterogenei è sorto così un movimento più coeso tramite il connubio tra ideologia marxista-leninista e tattica maoista, trasformandolo in una miscela esplosiva di guerriglia e azione divulgativa.

L’esercito naxalita, chiamato People’s Liberation Guerrilla Army, è accreditato dagli osservatori di poter schierare circa 9mila-10mila soldati. Contro costoro, a partire dal 2005, opera in Chhattisgarh una milizia paramilitare capeggiata da Mahendra Karma. Il Cpi-M sta cercando, inoltre, di estendere le sue attività ad altre regioni dell’India del nord in modo da creare una Compact Revolutionary Zone (Crz) che dal Nepal, attraversando il Bihar arrivi via via attraverso l’India centrale fino all’Andhra Pradesh, al sud. Il Partito comunista maoista indiano vanta solidi legami internazionali con gli omologhi nepalesi e il Communist Party of Bhutan-Maoist, oltreché essere in contatto con la Liberation Army of Perù e il Kurdistan Workers Party e in buoni rapporti con le srilankesi Tigri Tamil. (1)

Il radicamento sul territorio (sono presenti in 180 distretti su 626), unitamente alle forti diseguaglianze socio-economiche della popolazione, ha prodotto l’appoggio non solo del ceto contadino e tribale, ma anche di intellettuali, laureati, borghesi (donne comprese), probabilmente a causa della concomitante latitanza delle istituzioni nelle regioni menzionate. Secondo gli strateghi occidentali, i guerriglieri indiani starebbero pianificando una strategia a lungo termine che dovrebbe condurli – nelle loro intenzioni – a risultati analoghi a quelli ottenuti dai maoisti nepalesi.

Note

1)- Wikipedia

* Alessio Stilo è dottore in Scienze politiche (Università di Messina)

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