Il 4 giugno 2010, infine, il premier giapponese Hatoyama ha presentato le dimissioni e nell’arcipelago nipponico si è proceduto alla nomina del sostituto, Naoto Kan, e di nuovi 11 ministri.
La parabola dell’ex premier si è quindi conclusa dissipando in poco tempo l’enorme appoggio popolare che ne aveva salutato l’elezione otto mesi orsono: il principale obiettivo che aveva reso possibile quella vittoria era l’impegno di chiudere la base militare di Okinawa e ripensare i rapporti con Washington divenuti intollerabili, per peso economico e sudditanza politica, per la popolazione giapponese.
Nel febbraio il premier Yukio Hatoyama aveva promosso una commissione d’inchiesta per indagare sui patti segreti firmati da Giappone e Usa dopo la fine della seconda guerra mondiale – con l’obiettivo di ripensare la sclerotica politica estera (1) – ed in aprile una grande manifestazione effettuata proprio ad Okinawa aveva ricordato al Governo democratico la promessa fatta nel 2009 esprimendo altresì la contrarietà ad un semplice spostamento della base americana in un’altra zona dell’isola (2). L’impossibilità di raggiungere questo obiettivo ha portato alle dimissioni del primo ministro ed alle dichiarazioni del suo sostituto, che ha subito assicurato gli Usa sulla volontà giapponese di rispettare i patti con gli Stati Uniti e quindi di essere favorevole alla ri-localizzazione della base di Futenma. Infatti a fine maggio l’ormai ex premier aveva dovuto annunciare quella che è ritenuta una vittoria per l’amministrazione Obama, ossia il semplice spostamento della base al nord dell’isola, provocando nuove manifestazioni di disapprovazione e gli ormai classici “Usa go home” lo avevano accolto nel suo secondo viaggio sull’isola.
Ha influenzato la vicenda, oltre alla classica debolezza con cui il Giappone si rapporta agli Usa, anche un controverso incidente avvenuto nella notte del 26 marzo davanti alle acque territoriali della Corea del Nord: le agenzie occidentali hanno riportato l’affondamento di una corvetta sud-coreana ad opera di un sottomarino di Pyongyang: il problema però è che quella stessa notte era in corso una esercitazione militare navale congiunta Usa-Corea del Sud, e sembra dubbio – anche ad una firma del Washington Post (3) – che durante un simile dispiegamento di forze (quasi una provocazione allo stato nord-coreano, vista la vicinanza al suo spazio), un sottomarino possa essersi avvicinato senza essere notato dagli avanzati radar ed abbia potuto abbattere una corvetta fra l’altro utilizzando un missile tedesco (La Corea del Nord non utilizza quel tipo di armamenti). Comunque sia è evidente come il ventilato pericolo nord-coreano risponda alla logica dall’amministrazione statunitense e venga utilizzato come spauracchio nelle relazioni con il Giappone (e nell’area), non essendoci più “l’impero del male” sovietico con cui giustificare il dispiegamento delle proprie basi militari.
Eppure il dispiegamento di basi è ancora oggi necessario dal punto di vista degli Stati Uniti: l’espansionismo è la caratteristica principale della politica estera Usa e risponde alla funzione di difendere il sistema “occidentale” nato dalla seconda guerra mondiale – formato da tutto l’apparato “nord-atlantico” e “universale” basti pensare a FMI, Banca Mondiale, WTO – contro le sfide che gli altri “attori egemoni” Cina, India, Russia gli stanno ponendo, mettendo in discussione l’unipolarismo.
Insieme alla crisi interna ed al troppo esteso dispiegamento di forze “imperialiste”, a mettere in pericolo l’egemonia nord-americana sono i rapporti con i Paesi che il direttore della rivista “Eurasia” Tiberio Graziani, annovera fra gli “attori emergenti”(4) e fra i quali per quanto riguarda il continente eurasiatico rientrano Giappone e Turchia. Ora pare evidente come ci troviamo proprio nel momento in cui questi due Stati sono al centro del ciclone dei rapporti internazionali; le intenzioni di allontanarsi da un troppo stringente controllo della potenza di riferimento, ormai fuori tempo negli squilibri multipolari che si stanno affacciando all’orizzonte, ha portato tali Stati a porre in essere scelte autonome provocando così la reazione degli Stati Uniti. Il cambio di governo giapponese rientra quindi in una tentata “normalizzazione”, che nella evoluzione delle attuali relazioni internazionali non potrà essere definitiva; allo stesso modo ci si potrebbe aspettare una “normalizzazione” nei rapporti con la Turchia, che sta subendo, specie dopo il dialogo con l’Iran, una destabilizzazione interna che comunque viene da lontano; Ankara, infatti, dopo essere stata un baluardo della Nato vicino al cuore dell’Eurasia, si sta smarcando da tale ruolo e punta a diventare un potenza regionale fondamentale nei rapporti fra Europa, Asia e vicino oriente.
Note:
1) http://www.eurasia-rivista.org/3072/giappone-desecretati-i-patti-clandestini-imposti-dagli-usa
2) http://www.eurasia-rivista.org/3960/okinawa-in-piazza-contro-la-base-usa
4) “La categoria degli attori emergenti raggruppa, invece, quelle nazioni che, valorizzando particolari atout geopolitici o geostrategici, cercano di smarcarsi dalle decisioni imposte loro da uno o da più membri del ristretto club del primo tipo. Mentre lo scopo immediato degli emergenti consiste nella ricerca di una autonomia regionale e, dunque, nell’uscita dalla sfera d’influenza della potenza egemone, da attuarsi principalmente mediante articolate intese ed alleanze regionali, transregionali ed extra-continentali, quello strategico è costituto dalla partecipazione attiva al gioco delle decisioni regionali e persino mondiali”
http://www.eurasia-rivista.org/3861/la-russia-chiave-di-volta-del-sistema-multipolare